Radiodervish. Il suono delle piramidi

di Michele Lobaccaro – Radiodervish

Ieri era il giorno del concerto e l’attenzione è dedicata alla sua preparazione. La sera prima avevo ricevuto il basso elettrico da George, un gentilissimo musicista locale che mi ha assistito con attenzione nella scelta. Dedichiamo la mattina alle prove per ripassare lo spettacolo per poi recarci all’una al Cairo Opera House per il sound check. Il Teatro fa parte di un bellissimo complesso dedicato a sale concerti e esposizioni. I cartelloni sono ricchi ed internazionali e la parte del leone la fa l’opera italiana. La sala nella quale suoniamo è tutta in legno con intarsi con simboli islamici e piccole finestre policrome ed allungate lungo le pareti: un gioiellino. L’aria condizionata non ha mezze misure o accesa o spenta, naturalmente la teniamo accesa visto il caldo umido che avvolge la città. Ci dicono che un tempo, prima della costruzione della diga di Assuan che blocca il Nilo impedendone le storiche esondazioni che creavano il fertile limo di scolastica memoria, il clima non fosse così umido e che l’estate fosse più sopportabile. E di quanto sia insopportabile la calura estiva lo testimonia il fatto che quest’anno che il mese di digiuno diurno del Ramadan cade ad agosto, il governo post rivoluzionario ha deciso di non spostare l’ora legale in modo da non far capitare l’ora del tramonto troppo tardi ed evitare un ulteriore disagio alla popolazione. E i segni della rivoluzione sono tanti, dal fatto che piazza Tahrir è sempre presidiata da gruppi di persone che improvvisano discussioni politiche, danze e canti fino alla presenza per le strade di squadre di giovani studenti attivisti che in mezzo al traffico si mettono a ridipingere gli spartitraffico e la segnaletica accompagnandola alla scrittura di slogan pro rivoluzione.

Questo fenomeno del rimettersi in gioco in prima persona e di prendersi cura della cosa pubblica è il cambiamento più visibile della psicologia collettiva che fin dai primi momenti ha visto, nei momenti di maggiore anarchia della transizione, gli uomini dei quartieri richiamati dagli appelli lanciati dai minareti, autorganizzarsi per la difesa e il controllo del quartiere, oramai senza polizia, e nella pulitura delle strade. Infatti la polizia, direttamente controllata dal vecchio regime, aveva fatto uscire i criminali comuni dalle carceri e si era dileguata. Per lunghi giorni l’esercito era stato fermo a guardare l’evolversi della situazione prima di schierarsi dalla parte del popolo e

quindi i venti milioni di cairoti sono stati lasciati a se stessi ed alla loro personale iniziativa. Nel frattempo ogni giorno bruciava un palazzo del potere non ad opera dei manifestanti bensì di chi aveva interesse a far sparire documenti e prove delle malefatte del vecchio regime.
Dopo il sound check siamo torna a casa per riposarsi in vista dello spettacolo che qui inizia alle 20. I taxi del Cairo sono dei mondi a sé, a parte il fatto che fare il taxista è un secondo lavoro per molti che devono mantenere la famiglia. Una necessità visto che lo stipendio medio statale è di cento euro al mese. Ci sono due tipi di taxi, quelli bianchi e quelli neri. I primi hanno aria condizionata e tassametro mentre i secondi sono vecchi e scassati e ottimi per respirare l’abbondante Co2 facendo una sauna. Naturalmente preferiamo i bianchi anche perché ogni volta che ci monti su è un’avventura sonora: c’è chi ascolta l’immancabile Umm Kalthoum c’è chi segue un radio romanzo tratto da una novella del premio nobel della letteratura Nagib Mahfuz e chi la diretta della partita di calcio tra la squadra delle reclute dell’esercito contro quella degli ufficiali. L’esercito, lo avrete capito, è una presenza molto importante nella vita e, per così dire, nella morte degli egiziani. Dopo un’intervista con una televisione cairota siamo pronti per salire sul palco di una sala piena ed accogliente. Ora sentiremo cosa questo pubblico vorrà restituirci di ciò che dal palco lo raggiunge. L’eterogeneità culturale e linguistica degli spettatori, composti da molti cairoti culturalmente curiosi, da studenti egiziani che stanno imparando l’italiano e da italiani che sono venuti a lavorare o a studiare l’arabo e sono rimasti affascinati da questo mondo, è congeniale al multilinguismo delle nostre canzoni. Il concerto è un invito al viaggio lungo le rotte della nostra emozione. Gradualmente gli applausi ci dicono che ci stanno seguendo e alla fine la sensazione è che abbiamo compiuto un pezzo di strada insieme, forse per questo dopo il concerto ci salutiamo come se fossimo dei vecchi compagni di viaggio.
Facciamo foto con tanti giovani e mi fermo a parlare con un gruppo di ragazzi egiziani che studiano dai salesiani e stanno per diplomarsi come operai specializzati e che desiderano fare l’università in Italia. In effetti a parte le scuole private qui il sistema scolastico pubblico sembra il modello al quale vorrebbe tendere la nostra Gelmini: aule di 60 alunni che fanno i turni, professori sottopagati ed aule fatiscenti, un ottimo mix creato da 30 anni di Mubarak per far dilagare l’ignoranza popolare con la quale rendere invisibili i loschi traffici della casta e far credere che non esistono alternative alla miseria materiale e spirituale.

Ma tutto questo pare non aver fatto i conti con l’avvento di internet che ha una grande responsabilità nell’aver cambiato la percezione da parte dei giovani della situazione in cui vivono dando accesso a fonti di informazione diverse da quelle controllatissime dal regime. L’unica via d’accesso al mondo esterno per molti egiziani era il grande flusso di turisti stranieri che tra l’altro dopo la rivoluzione si è di fatto fermato tanto che alle piramidi di Giza siamo in pochi e parcheggiamo praticamente sotto la grande piramide di Cheope e, superato l’assalto dei mille venditori che accaparrano i radi turisti che giungono, riusciamo ad entrare nella stanza funeraria situata nel centro perfetto della piramide. Siamo soli in questo luogo magico e cominciamo ad apprezzare l’acustica della stanza dove cominciamo a turno a cantare godendo insieme del profondo stato di rilassatezza prodotto dal lungo reverbero della camera di Cheope che ci fa appunto da cassa di risonanza. Prima un canto funerario arabo poi il Gloria ed infine una stisa salentina. Rimaniamo a lungo incantati nel centro della piramide e ci godiamo questo ulteriore inaspettato regalo del nostro breve tour.

 

1 thoughts on “Radiodervish. Il suono delle piramidi

I commenti sono chiusi.